27 Giugno 2013


Allora siete pronti? Sappiate che è stata una vera battaglia.

Appena arrivato Sabato a Nizza ho capito subito che facevano sul serio, in quanto avevano allestito, in diversi punti della Promenade, un sacco di strutture ben organizzate.

La prima cosa che ho avvistato è stato l’expo, a quell’ora ancora chiuso, ma sarebbe stato aperto da lì a poco e con già decine di triatleti pronti per farsi fare l’ultimo settaggio alla propria bike.

L’impatto non è stato dei migliori in quanto la mia bicicletta rispetto alle loro sembrava un auto assemblata male, piccola e soprattutto esageratamente pesante. Le loro invece, sembravano lussuose auto di classe.

Il colpo di grazia mi è stato però inflitto subito alla registrazione da parte di un signore dello staff che alzando gli occhi dal tavolo ha esordito, dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi, dicendo: “Scusa ma che fisico hai?”.

“Cioè?”  Ho risposto pensando che fosse una battuta standard di benvenuto.

“Stai bene? Sembri un po’ piccolino, da dove vieni?”

“ Da Torino”.

“Ma a Torino c’è il mare?”.

“C’è il Po…”

Fino a quel momento devo dire che non ero molto carico, ero ancora con la testa in Italia al lavoro e vedendo i due armadi che si stavano avvicinando al tavolo della registrazione, in parte ho capito il commento che mi ha fatto.

Non me la sono presa, in questi casi non mi tocca nulla ma dentro di me è stata come una molla che mi ha fatto caricare come un toro. Non ho il fisico? Mi sono allenato per 8 mesi! La mia famiglia si è sacrificata per giorni e soprattutto sono qui a partecipare senza neppure avere l’attrezzatura adeguata! Ti faccio vedere io di che pasta siamo fatti noi italiani!

Ecco, l’euforia da vero uomo è durata due minuti, è durata fino a quando mia figlia di 11 anni mi ha detto: “ Papà la tua bicicletta rispetto a queste sembra una mountain bike che non si è evoluta”.

Alla registrazione mi hanno dato 3 sacchi di plastica e tutto l’occorrente per la gara: pettorale, regolamento e  adesivi di ogni tipo con il mio numero da appiccicare da tutte le parti.

Il mio numero è stato il 2383 e mi ha accompagnato fedelmente per tutta la gara.

Alle ore 14 si sono aperti i cancelli e ho dovuto depositare il sacco run, il sacco bike e soprattutto la mia bicicletta (mi sono vergognato a morte del mio ferro vecchio… ma ormai).

I sacchetti run e bike contenevano tutta l’attrezzatura per la maratona e per la frazione di bicicletta da 180 km.

Alle 22 da vero atleta, ero a nanna, anche perché a forza di camminare per tutto il giorno lungo la Promenade, ero distrutto e il ginocchio gridava vendetta già da ore.

Il giorno della gara.

Ore 3:00

Suona la sveglia ma era dalle 23,30 che non riuscivo più a dormire, il cervello ripassava tutta la sequenza degli eventi che avrebbero caratterizzato la giornata che stavo per affrontare.

Ho un po’ di mal di testa per il sonno, faccio piano piano per non svegliare moglie, figlia, mia sorella e suo marito… il team Magic Max (così si sono battezzati). Scaldo la pasta in bianco ma riesco a malapena ad ingoiarne tre forchettate. Sono alcuni giorni che ho aumentato i carboidrati e il cibo ormai mi esce dalle orecchie.

Quattro panini di nutella e alcuni cucchiai di miele finiscono comunque nella mia pancia.

Ore 4:00

Suona un’altra sveglia, quella di mia figlia che scatta in piedi immediatamente con i capelli tutti arruffati e lo sguardo da pazza scatenata: “Papà andiamo sono pronta!” (sempre detto che i figli copiano i genitori).

Svegliamo tutti gli altri e mia moglie va subito sul balcone, rientra subito dopo e mi dice di non uscire.

Gli chiedo se fa freddo ma lei non risponde, esco… il cielo era parecchio nuvoloso e nero.

Ma davano sole! Se piove sono ceci in bike!

Dopo alcuni caffè, il team esce di casa.

Ore 5:00

Si aprono i cancelli del Bike Park e 2.800 atleti si catapultano a preparare tutte le attrezzature. C’è chi gonfia le ruote della propria bike portandole a pressioni da capogiro e io capisco subito di essere fuori luogo, sono l’unico con la pompa più piccola… ne facessi una giusta.

In compenso ho 3 barattoli di crema antisfregamento e di vasellina che consumo interamente lungo tutto il mio corpo. Avendo una muta da pochi euro il collo l’ho lubrifico fino a quando ci potrei pattinare sopra.

Ormai erano settimane che mi ero arreso al fatto che mi sarei tagliato tutto il collo perché la muta non voleva saperne di non sfregarmelo, tagliandomi ovunque.

La mia muta è un modello base da 130 euro circa, le loro mute da 500 a 1.000 euro.

Nella mia entra l’acqua a catinelle perché era un’offerta a misura unica (in pratica due taglie sopra la mia) e due settimane prima mentre la provavo in piscina, si è aperta in più punti. L’avevo incollata e rappezzata alla meglio con l’aiuto di un mio amico.

Ora dagli amplificatori iniziano a scandire il tempo, mancano pochi minuti alla chiusura del Bike Park bisogna uscire obbligatoriamente per recarsi alla spiaggia.

Ore 6:00

Sono in spiaggia e finalmente vedo le boe o meglio vedo due puntini lontanissimi, ma quanto sono lontani?

Chiedo ad un mio vicino dove si deve passare e lui m’indica una linea tutta storta da sinistra a destra ma la cosa che mi lascia interdetto e che con la mano indica che dovremo superare le due boe piccolissime per proseguire per chissà dove. Siccome parla tedesco annuisco e mi sposto.  Chiedo ad un altro che m’inspira un po’ di più ma anche lui mi dice che dopo le boe dovremo proseguire… proseguire molto più lontano. Ma dopo quei puntini c’è la Corsica!

Ore 6:15

Ormai la Promenade è stracolma di pubblico e dagli amplificatori gli speaker  tra una canzone e l’altra incitano sempre più la gente in un crescendo senza fine che serve a “gasare” gli atleti.

Io mi vado a mettere tutto a sinistra dove un cartello indica + 1,25 h, cioè il posto per gli sfigati che non sanno nuotare, sono circondato da persone che a prima vista sembrano normali, fisicamente sono più o meno come me. Mi rincuora vederlo e subito capisco che è anche il posto migliore perché siamo davanti alle prime boe in linea retta, faremo meno strada rispetto a chiunque sia alla nostra destra.

Dura poco perché tutti gli atleti più forti che stanno sulla parte destra della spiaggia, si portano immediatamente nella nostra parte. Non è corretto ma sicuramente non sarò io a spiegarglielo perché ormai sono circondato e pressato da centinaia di corpi che scalpitano per partire come cavalli che non vedono l’ora di poter esplodere la loro potenza.

Ore 6:25

Partono i pro, gli atleti professionisti che cercano di conquistare i primi posti nella classifica. Sono veramente pochi e vanno veramente veloci. Dopo un paio di minuti sono già parecchio al largo.

In 10 anni che vado in villeggiatura a Nizza non ho mai visto alle 6 del mattino il mare mosso ma questa Domenica il sole non ha voluto graziarci e quindi il mare è increspato, tira vento e fa freddo.

Ore 6: 27

Lo speaker inizia a contare al contrario scandendo slogan per caricarci. Se continua così, ancora due incitamenti e da tanto mi batte cuore, mi viene un infarto. Alzano ancora la musica, ormai i watt irrompono su tutta la spiaggia!

Il respiro si ferma, sono sospeso mentalmente, fremo di adrenalina, i muscoli pompano e s’irrigidiscono pronti a fare fuoco!

Manca 1 minuto e capisco che sono nei casini, tutti spingono verso l’acqua. Speriamo che su questa spiaggia di pietre il mio ginocchio destro regga agli urti. Tutti iniziano ad urlare. Lo speaker ha iniziato il conto alla rovescia, ci siamo, spingono di più, ci sono centinaia di corpi intorno a me pronti ad esplodere, 5, 4, 3, 2, 1… go!

Non capisco più nulla, ormai la battaglia è iniziata, spingono, sgomitano, qualcuno mi pesta i piedi, cerco di togliermelo di dosso ma già altri hanno preso il suo posto, le spalle di tutti si urtano continuamente e le mani di tutti cercano di farsi largo per prendersi spazio… ecco l’impatto con l’acqua, devo far attenzione perché Nizza non ha la sabbia, ci sono solo pietre e se entro troppo presto rischio dì farmi male sbattendoci contro.

Sposto un corpo che letteralmente mi crolla davanti, ora un altro mi spintona forte da sinistra, nessuno però si lamenta, tutti aggrediscono l’acqua con forza e sento decine di mani che ostacolano la mia avanzata, prendo la prima manata sugli occhialini che reggono all’urto, li ho legati stretti molto più del solito.

A destra qualcuno si aggrappa al mio polso e mi tira verso il basso, mi libero e appena la faccia tocca l’acqua mi arriva un calcio nuovamente sugli occhialini, questa volta si spostano, ci entra l’acqua, meno male che erano stretti, non abbastanza si vede… con la mano cerco di rimetterli correttamente ma una gomitata mi precede e li rimette quasi a posto da sola, qualcuno mi colpisce il costato, mi manca per una frazione di secondo il fiato, realizzo che sono troppo forti per me, non riesco a contrastarli, volevo partire per ultimo e invece mi sono ritrovato tra i primi, come diavolo ho fatto a ficcarmi in sto casino.

Cerco di spostarmi lateralmente ma non riesco, la calca mi spinge avanti, mi è impossibile sganciarmi, devo resistere, il mare è increspato e bevo continuamente, provo a tenere la testa sotto ma prendo una serie di calci impressionante, allora alzo la faccia e vedo un ragazzo in preda ad una crisi di panico andare al contrario, sembra un salmone che vuole risalire la corrente.

Ma che fa è pazzo? Così rischia di farsi veramente male, vado con forza a destra e lo salto, non voglio averlo sulla coscienza, ma vedo altri tre nella stessa situazione: panico da folla! Stanno cercando di tornare a riva.

Per loro l’Ironman è già finito.

Basta devo avanzare non devo più pensare a loro, cerco con lo sguardo la piccola boa ma non la vedo le onde che non sono alte ma sono una dietro l’altra mi spezzano la visuale. Ora  mi gira un po’ la testa, un corpo cerca letteralmente di aggrapparsi e facendosi largo mi spinge sotto, ribevo.

Ma un uomo quanta acqua può bere prima di sentirsi male? Ma cosa sto pensando? Voglio per caso fare la fine di quei quattro e farmi prendere dal panico. Allora penso: ok sono qui in mezzo e sono tutti più forti di me, ho sbagliato totalmente la partenza ma cosa voglio fare? Perché è questo il momento per decidere se tornare indietro adesso, subito in questo istante, facendo finire tutto sto calvario in un secondo, oppure se stringere i denti e continuare.

Massimo la vuoi la medaglia o no? Quante ore hai sottratto al sonno, ai divertimenti, alla famiglia? Allora? Che vuoi fare? Vai avanti o molli adesso in questo preciso istante?

Ora sono già oltre perchè la mia decisione l’ho già presa sulla spiaggia, l’ho già presa tutte quelle mattine che mi sono alzato alle 5,30, tutte quelle sere che alle 23 uscivo con la pioggia e il freddo a correre, l’ho fatta prendere a mia moglie a mia figlia i fine settimana tra decine di allenamenti, sapevo cosa mi aspettava. La mia decisione l’ho presa da tempo… voglio prendere quella medaglia, la voglio, voglio essere speciale per me stesso, voglio essere un Ironman.

Intanto la prima boa finalmente si avvicina ma è enorme, che figata!

La testa mi gira sempre di più e non riesco a tenere la testa sotto neppure per un paio di bracciate e sono costretto quindi a nuotare a stile libero con la testa fuori, non sono il solo che lo sta facendo ma per me è una fatica immane. Ora credo anche di stare iperventilando, forse per questo mi gira sempre più la testa, devo riuscire a tranquillizzarmi.

Cavolo non sto iperventilando, sto patendo le onde, patisco il mare e se mi viene la labirintite sono spacciato e se mi viene un attacco dei miei, cosa faccio qui in mezzo a questi pazzi? Ormai sono in mare aperto e non so cosa fare.

Non sono preparato ad un attacco di labirintite, tutte le volte che ho patito in mare mi è sempre venuta ma che cosa ho fatto? Come ho fatto a non pensarci prima? Adesso cosa faccio? Mio Dio sta aumentando la sensazione di giramento di testa, ho voglia di vomitare, gira tutto intorno a me.

Ok torno indietro, anzi dov’è la canoa dei soccorsi, eccola là ma è lontana, non ci arrivo e spostatevi non vedete che sto male e tu togliti di dosso! Vedo i lumini negli occhi, mi sento svenire, sento il sangue negli occhi pulsare che mi sia rotto una lente e mi sia tagliato? Tossisco, sbraccio, sto perdendo i sensi, calma, calma, calma devo stare calmo, bevo, vedo solo più tante braccia e tante gambe che mi girano intorno come una piovra gigante che vuole avvolgermi con i suoi tentacoli.

Dorso mi metto di dorso ecco cosa devo fare, la muta mi sorreggerà, respiro, finalmente respiro, si colpitemi pure, fatemi girare come un mulinello ma chi se ne frega, tanto adesso mi tranquillizzo e poi… e poi vediamo.

Faccio una bracciata, ecco giusto, devo fare una bracciata a dorso. Adesso ne faccio due e mi stabilizzo, dai ancora una, in fondo non è male, respiro, si riesco a respirare, giù le spalle, resisti, rilassa il collo, allungati, rilassati…

Bracciata dopo bracciata avanzo piano piano, il mio corpo avanza verso la seconda boa, per la direzione guardo attraverso i miei piedi tutti quelli che sono dietro di me, quelli peggio di me, quelli che cercano la boa, la giusta direzione… da adesso la cercheranno per me.

Ho fatto tutta la frazione di nuoto a dorso, ho sbagliato direzione almeno 5 o 6 volte e le canoe dei soccorsi mi hanno fischiato di tornare in “careggiata” almeno 4 o 5 volte. All’inizio ho sbracciato piano poi sempre più rilassato e più veloce, veloce quanto gli altri che stavano nuotando a stile libero, quella è sempre stata la mia forza, tenere il tempo sotto sforzo e così è stato da quel momento in poi.

Chi mi sbatteva contro, rimaneva per un attimo sconcertato dal vedermi nuotare a dorso ma poi vedeva che prendevo metro su metro rispetto al suo avanzare e allora cercavano tutti di superarmi. Molti ci sono riusciti ma molti sono rimasti indietro e dopo un’ora e trentacinque  minuti, ho toccato la riva, stavo ancora patendo il mare ma almeno avevo scongiurato la labirintite e c’è l’avevo fatta, non avevo mollato e questo mi ha caricato il cuore.

Toccando riva ho pensato solo ad una cosa: se l’acqua da oggi in poi va a sinistra… io vado a destra.

Ore 8:05

Corro a prendere il sacchetto con il cambio per la frazione dei 180 km di bike.

Dentro ad una tenda adibita per la transizione, tolgo la muta, mi asciugo alla meglio, infilo la tuta, il casco, gli occhialini e sono già fuori a riportare il sacchetto. Vado a recuperare la bike appesa ad un tubo al posto 54 e mi dirigo verso la partenza. Il giudice mi fa cenno di non salire in sella prima della riga dello start. Fato ecco sono partito, sono passati 14 minuti da quando sono uscito dall’acqua.

E’ un tempo enorme per un atleta di triathlon ma per me va bene così e poi non ho neppure comprato il corpetto da tenere sotto la muta che normalmente viene usato anche per la bike e per il run, agevolando moltissimo i cambi. Per me è la prima gara in questa disciplina e va già bene che non sono scivolato correndo affiancato alla bike lungo il tappeto come hanno fatto molti.

Mi sento bene anche se la testa mi gira ancora un po’, credo ci vorrà almeno un’ora prima che mi passi del tutto l’effetto del mal di mare.

Non fa caldo e il cielo è ancora molto nuvoloso. Spero vivamente che tenga senza piovere perché non mi va di pedalare in discesa da una montagna sotto un acquazzone.

Mi metto fin da subito in posizione aerodinamica e spingo sui pedali, voglio e devo recuperare più posizioni possibili.

In pochissimi chilometri mi passano superandomi due o tre atleti ma io ne passo almeno una trentina, sto andando benissimo.

Tra me e me penso: “Facevate i furbi in acqua, ma adesso…”. Qui contano i muscoli e i miei iniziano a scaldarsi adesso.

Vedo che in fondo a questo rettilineo ci fanno cenno di svoltare a sinistra. Se spingo un po’ riesco a riprendere anche quel gruppetto di circa una decina di biker.

Per altri venti minuti continuo a superare atleti e a me superano ben in pochi. Hanno tutti delle biciclette al limite della fantascienza, sono tutte bellissime e leggerissime. Io in confronto sembro il pulcino Pio che spinge un triciclo.

Di colpo ci deviano da una piazzetta verso destra, ecco ci siamo, è la prima salita impegnativa, mi avevano avvertito che ogni anno inseriscono dopo pochi chilometri una salita molto ripida ma corta, di circa 500 mt. Infatti è veramente ripida ma due ali di folla incitano tutti a conquistarla. Sono le prime persone che vedo applaudire sul tracciato della bike con calore mentre passiamo.

Subito capisco che senza rampino sarà dura, io pedalo in piedi mentre tutti gli altri pedalano da seduti ma riesco ugualmente a superarne ancora tre. La folla vedendo che li supero in una salita così dura, grida il mio nome che subito non capisco come facciano a saperlo (poi capisco che lo leggono sul mio pettorale… sotto sforzo di ossigeno al cervello ne arriva ben poco).

Anche se ormai la strada è diventata tutta in salita sono gasatissimo e procedo come un pazzo continuando a superare concorrenti. Da quando sono partito con la bike ne ho ripresi veramente tanti forse quasi un centinaio, mi sta passando pure il mal di testa!

Ma come ogni favola che si rispetti… foro una gomma, sono in salita e naturalmente è la gomma dietro.

Credo che in quella vallata non abbiano mai sentito tante bestemmie in un colpo solo…

Non mi perdo d’animo e scendo al volo, giro la bike al contrario, naturalmente cadono le borracce che corrono subito lungo la discesa… me ne andasse bene una oggi.

Le recupero e torno alla bike, tolgo il tubolare bucato, non vedo fori ma non importa, non voglio rischiare e lo getto via, centrando un cassonetto lì vicino, intanto con la coda dell’occhio vedo che mi hanno ripreso un sacco di partecipanti e tutti mi superano.

Passano come un fiume in piena. Inizia a venirmi l’isteria, andavo così bene…

Per rigonfiare la ruota prendo la bomboletta di co2. Di scorta mi sono preparato ben 2 tubolari (camere d’aria) e 2 bombolette. In effetti il ciclista che mi ha preparato con i suoi consigli (lui fa parte di una squadra importante di Torino e sono più di 15 anni che gareggia nel triathlon, al suo attivo ha più di 10 Ironman) mi ha sempre detto di comprare delle ruote senza tubolari ma il prezzo per le mie tasche è proibitivo, quindi ho optato per la vecchia scuola ma con la sicurezza di portare almeno 2 di tutto. Forare ad un Ironman 2 volte è praticamente e statisticamente poco probabile.

Ho portato anche una pompa piccola tanto per tranquillizzare il mio cervello, in quanto con il co2 non sono un esperto. Il portare una pompa ha fatto di me la barzelletta del negozio, il titolare l’ha raccontato a tutti quelli che entravano, ha smesso di prendermi in giro solo quando gli ho detto che ero arrivato a fare 8 ore di rullo in casa in salotto…. lì ho ripreso parecchi punti, secondo lui ero un pazzo scatenato a riuscire a resistere per tutte quelle ore su un sellino al caldo del salotto e secondo lui in tutta Torino ero stato l’unico a provarci, riuscendoci. Il pulcino Pio era diventato qualcuno… in un salotto.

Controllo bene anche di non avere una spina lungo il copertone esterno, sarebbe il colmo non accorgersene e riforare mentre si gonfia il tubolare nuovo appena inserito. Il copertone lungo tutta la sua lunghezza mi sembra perfetto. Boh chissà come ho fatto a forare? Ora vado di co2 ma non riesco ad azionarlo. Ma come diavolo devo fare? Ok ammetto di averlo azionato in negozio solo una volta ma sembrava così semplice, ora mi sembra di non capire neppure se l’ho inserito correttamente nella valvola.

Fino a quel momento dall’altra parte della strada due francesi mi avevano osservato parlottando tra di loro, adesso vedendomi sul disperato andante si avvicinano, quello più grosso che ha l’aria di essere un manovale di grossa stazza, mi prende dalle mani la bomboletta di co2, io provo a dirgli che non posso per regolamento ricevere nessun aiuto esterno ma…. è veramente grosso e non voglio sembrare ne presuntuoso ne farlo arrabbiare. Gira di scatto la bomboletta di co2 in senso antiorario e gonfia la ruota in un secondo, solo che non si è accorto di aver pizzicato il tubolare tra cerchione e copertone.

A quel punto l’ho vedo veramente imbarazzato e per non creare un incidente diplomatico tra Italia e Francia risgonfio  la ruota fino a far rientrare con le dita il tubolare al suo posto.

Intanto una scia ininterrotta di triatleti continua a sorpassarmi.

Prendo la seconda bomboletta di co2 e gliela sporgo, anche se adesso mi ricordo che prima si avvita e poi per azionarla si svita in senso antiorario, mi fa pena vederlo lì in ginocchio accanto alla ruota, in fondo voleva solo essere di aiuto. Prende sorridendomi la bomboletta e l’avvita… gli sfugge di mano e non so come la spruzza tutta sul cerchione congelandomelo. A quel punto la situazione risulta grottesca, l’omone voleva aiutarmi e invece mi ha fatto fuori tutte e due le bombolette di co2.

Gli sorrido, ma vorrei infilargli le bombolette nelle orecchie e a quel punto non mi resta altro che prendere la mia pompetta e iniziare alla vecchia maniera.

Con mia sorpresa non gonfia e più la muovo veloce, più l’aria esce senza gonfiare la gomma. C’è qualcosa che non va, forse vado troppo piano. Altri biker intanto mi sorpassano, ormai tutti quelli che avevo ripreso mi hanno ripassato e nuovi atleti mi hanno preso, superandomi anche loro.

Niente da fare, spingo velocissimo ma è tutto inutile, non si gonfia di un millimetro.

L’omone fa per aiutarmi prendendomi dalle mani la pompa ma con un’occhiata lo fulmino: “E’ vietato essere aiutati dall’esterno e poi voglio farlo io!”. E’ quello che penso ma fortunatamente non esce un soffio dalla mia bocca.

Rallento perché non c’è la faccio più e poi essermi fermato di colpo per cambiare la gomma, mi ha fatto raffreddare le gambe che sono diventate dure come marmo e stare giù con la schiena piegata sulla ruota mi ha fatto venire un dolore insopportabile sopra le natiche, tutta la fatica del nuoto è venuta… a galla.

Appena rallento il movimento, la pompa inizia a gonfiare. Sta a vedere che più vado veloce e meno gonfia. Allora vado piano e la ruota finalmente va in pressione, si gonfia, anzi è già gonfiata!

Rimonto la ruota, sporcandomi per bene con il grasso della catena la tuta bianca, questo mi fa sentire molto uomo…

Saluto i due francesi, ormai anche loro mezzi Ironman e facendo ben due canestri con le bombolette nel solito cassonetto mi butto in strada: devo rimontare assolutamente.

Dovrò superare circa tre colli lungo il percorso e non sapendo quanto tempo ho perso, mi viene l’ansia di poter essere squalificato perché non sono riuscito ad arrivare al primo colle, superando nel tempo previsto dal regolamento, il primo cancello d’ammissione.

Spingo immediatamente ma le gambe iniziano a rispondere solo dopo qualche chilometro, è tutta salita e non finisce mai. Chiedo a qualche spettatore quanto manca ad una discesa ma tutti ridono, qualcuno dice 12 chilometri, qualcuno 10. Ancora 12 chilometri di questo calvario?

Inizio a sentire freddo e più salgo, più la temperatura scende, speriamo che non piova. Il vento non ci ha mai abbandonato fin dall’inizio e scende dalla montagna quindi è freddo e mi blocca lo stomaco. Sento gl’integratori che ho preso durante i primi chilometri venirmi su. Cambiare la ruota mi ha asciugato tutto il sudore e questo mi ha provocato un po’ di geloni allo stomaco. Resistere, devo solo resistere. Basta mangiare e bere fino a quando non li consumo, anche perché per ora li sento nuotare continuamente nello stomaco.

Passano i chilometri e passano le ore ormai siamo in piena montagna e c’è un po’ di nebbia o meglio sono le nuvole fredde e basse che scendono sulla strada. Ci sono anche le capre! Ma dove ci stanno mandando a casa di Heidi? Io ho sempre saputo che l’Ironman s’inspira alle Hawaii e viene fatto in piano, altrimenti le corna che si montano sulla bike cosa servono? Qui non si possono neppure usare.

Ho scoperto solo l’indomani che i francesi hanno usato l’Ironman di Nizza per far pubblicità all’entroterra, in cambio i paesini di montagna forniscono soccorsi e volontari gratis, ecco perché gli italiani preferiscono andare a provare l’Ironman a Monaco o a Zurigo, qui è tutta salita!

La mia bike pesa e faccio uno sforzo incredibile a recuperare ma atleta dopo atleta , curva dopo curva li riprendo nuovamente tutti, uno per uno.

Non so quante calorie sto utilizzando ma ormai le gambe pompano sangue e acido lattico in modo incontrollato, so che pagherò tutto questo sforzo ma tutto è diventato una questione di principio, procedo con la forza di volontà e il mio corpo mi segue solo perché deve.

Ora ad ogni ristoro prendo banane e bevande energetiche a go go. Imparo subito a prenderle al volo senza fermarmi, per me questa è una novità assoluta, mai fatto prima in vita mia e a parte la prima borraccia che c’è mancato poco non mi facesse ribaltare, il tutto è andato bene.

Spingo continuamente tenendo un passo micidiale, passo un gruppetto e continuo a dare la caccia a chi vedo davanti a me. Non prendo ostaggi, cadono tutti uno per uno e alla prima discesa ne supero almeno altri venti. A dire la verità qualcuno mi sorpassa ad una velocità incredibile, in salita non erano nessuno ma in discesa non conoscono rivali. Vanno come pazzi. Forse conoscono la strada che è in discesa ma senza i soliti tornanti di montagna, praticamente è tutta una leggera zig zag velocissima. Penso a cosa succederebbe se ci fosse un tornante e la risposta mi viene data subito dopo pochi minuti.

In fondo ad un lungo rettilineo vedo luci di ambulanze e molti volontari che sbracciano con le loro bandierine gialle. In pratica al primo tornante un gruppo di atleti è andato letteralmente dritto, schiantandosi contro il muro, sono finiti tutti nel dislivello tra il muro e l’asfalto. C’è la polizia, i vigili del fuoco, alcune ambulanze e molta gente delle case li vicino, tutti cercano di disincastrarli uno ad uno.

Ormai oltre a riprendere tutti quelli che avevo già passato, ho superato anche molti nuovi atleti. Sono riuscito a rimanere nel cancello e quindi non ho subito la squalifica prevista per i ritardatari. Voglio aumentare la velocità perché forse posso anche sperare di recuperare il tempo perso nel nuoto e chiudere con un buon tempo totale… sto scendendo veloce ma di colpo… riforo sempre la ruota posteriore.

Adesso sono veramente problemi perché mi è rimasto solo un tubolare e se dovessi forare una terza volta, purtroppo non mi resterebbe che abbandonare perché sono ancora a 80 chilometri dall’arrivo.

Che sfiga! Ma come è potuto accadere? Inoltre qui è un brutto posto non c’è anima viva, sono in una discesa ripida e sono sotto il sole cocente che ormai da più di un’ora è uscito con la sua potenza estiva. Fa un caldo bestiale!

Scendo, giro la bike ma il mio pensiero va subito a quelli che mi stanno nuovamente superando, non è possibile dopo tutta la fatica che ho fatto! Per ben due volte ho recuperato posizioni! Pensando a chi mi sorpassa non mi riaccorgo e cadono nuovamente le borracce a terra e siccome siamo in discesa…

Per la pendenza non riesco a mettere la bike in equilibrio, mi ritorna l’affanno e mi viene quasi da piangere dal nervoso, ma come ho potuto forare due volte di seguito? Tolgo il copertone e perdendo un sacco di tempo, lo controllo accuratamente, forse ho proprio dimenticato una spina al suo interno ma non riesco a trovarne neppure l’ombra. Ma che cacchio sta succedendo? E’ così difficile finire un Ironman, non mi sembra di volere cose particolari. Voglio solo finire questa gara! Almeno una volta in vita mia!

Il mio occhio cade sul cerchione che libero totalmente dal copertone, rivela una protuberanza. Ecco il problema, quel pirla di ciclista che mi ha messo a posto la bike dopo l’incidente, non ha controllato una cippa. La protuberanza comprime il tubolare che ad alte pressioni cede. E adesso che faccio?

Mentre penso, mi raggiungono, sorpassandomi, tutti gli abitanti del pianeta… forse sono diventato perfino l’ultimo, questo con l’abbandono non è nel mio vocabolario. Accetterei forse un incidente fisico ma non di arrivare ultimo o peggio ancora di abbandonare.

L’unica cosa che posso fare, è gonfiare a metà la ruota, così la pressione diminuisce e forse il tubolare non si comprime sulla protuberanza. Ok proviamoci, è l’unica cosa che posso fare. Lo so che più la ruota è sgonfia e più si fa fatica e so anche che mancano ancora circa 80 chilometri all’arrivo ma non ho molta scelta: abbandonare o provare.

Mentre il cervello realizza sto già rimontando il copertone con il tubolare gonfio a metà. Sono in sella e sono determinato a provarci. Vada come vada, il pulcino Pio non si arrende e se dovessi riforare una terza volta, speriamo che sia almeno a 10 km dall’arrivo perché a quel punto mi caricherei la bike sulle spalle e me la farei di corsa, il regolamento lo prevede. Adesso è diventato tutto una questione di orgoglio. Ok mi posso scordare di fare un bel  tempo ma da questo momento devo stare nelle 16 ore compresa la maratona per non essere squalificato.

Purtroppo risalendo mi accorgo che il ginocchio destro quello che da un mese è infiammato ma fino a quel momento non mi aveva dato troppi problemi, è ora lacerato da dolori acuti. Fa veramente male! Cerco di non pensarci e mi butto giù per la discesa con il sedere che non vuole appoggiarsi al sellino per paura che con il suo peso, possa far forare per la terza volta la ruota.

(Farò in quella posizione tutti gli 80 chilometri mancanti, ancora adesso dopo giorni ho male all’attaccatura delle cosce con le natiche.

Nelle restanti ore ne ho ripresi molti di atleti che mi avevano superato, forse non tutti ma molti.

Ore 16

Sono sulla promenade e fino al traguardo vedo una fila interrotta di runner che si affaticano già con la maratona.

Scendo dalla bike riuscendo perfino a lasciare le scarpette agganciate ai pedali da vero triatleta, almeno così recupero un po’ di tempo ma appena appoggio la gamba destra a terra il ginocchio cede. Mi risollevo con uno scatto ma nulla da fare mi fa un male boia e inizio a zoppicare.

“Posteggio” la bike sul tubo al mio posto dove l’ho presa 8 ore prima e lasciandola la guardo come se avessi ormai instaurato con lei un rapporto quasi mistico, in fondo non mi ha abbandonato fino alla fine e soprattutto ha combattuto con me chilometro dopo chilometro, sicuramente sconfiggendo il detto: “non c’è due senza…”. Per questa frazione io e lei abbiamo vinto.

Prendo il sacco da run ed entro nella tenda per cambiarmi,  dentro ci sono tre atleti sfatti peggio di me, uno si sta mettendo un chilo di crema ovunque, sembra una bistecca appena uscita da sopra la brace, un secondo è seduto su una sedia in mutande, sembra un reduce di qualche terremoto e il terzo… beh il terzo sta urinando contro il telo.

Mi cambio ed esco il prima possibile, restituisco il sacco run e inizio a correre piano piano verso la linea di partenza. Appena varco la linea sotto il gonfiabile che ne delimita l’area, mi accoglie il boato della folla, la musica è a palla e centinaia di mani inneggiano tutti gli atleti a non mollare.

Una sensazione incredibile e come ricevere una scossa di energia, aumento pure il passo e mi trovo a quasi correre degnamente.

La maratona consiste nel fare ben 4 volte tutta la Promenade De Anglais di Nizza per un totale di 42 chilometri. Si corre in un flusso ininterrotto di partecipanti che vanno nei due sensi. C’è chi va verso l’aeroporto e chi torna indietro, quindi si corre continuamente con atleti che ti corrono contro ma sull’altra corsia, esattamente come in una strada statale. Ogni 2 chilometri c’è un posto di ristoro con acqua, coca cola, banane e qualcosa d’altro che non mi ricordo… sono ancora troppo stanco per  ricordare.

I primi due giri vanno alla grande, cioè corro come una lumaca ma almeno procedo degnamente. Praticamente anche tutti gli altri intorno a me sono completamente fusi e veramente pochi corrono con un passo che si possa definire una corsa.

Ma quando arrivo al terzo giro, cioè al ventesimo chilometro, il ginocchio destro non riesce più a piegarsi e sono costretto a trascinarmi per i seguenti 10 chilometri la gamba come se avessi attaccato al corpo non un arto ma un albero. Questo però mi fa riposare un po’ e quando imbocco l’ultimo giro, mi sento disperato ma abbastanza convinto di poter continuare.

Nell’ultimo giro m’impongo di contare per eludere la mia mente dal dolore che mi attraversa da tutte le parti. In pratica non c’è un punto del mio corpo che non mi faccia male, ho male perfino negli occhi!

Conto 50 passi a ritmo lentissimo e 100 a ritmo un po’ più veloce. Gli atleti che supero mi guardano come se fossero stati avvicinati da un alieno! Me ne frego, ormai per me esiste solo una cosa, battere il tempo che scorre veloce, devo arrivare prima delle 16 ore, prima della chiusura de cancello finale.

Quando ho inforcato l’ultimo giro ho guardato negli occhi mia figlia che urlava: “papà non cedere!” anche lei è galvanizzata e ha paura che crolli definitivamente. Io gli rispondo solo: “aspettami qui, vado a fare l’ultimo giro e torno a prendermi la medaglia, tu attraverserai il traguardo con me!”. Ormai è una promessa.

Vicino a mia figlia c’è mia moglie, mia sorella e suo marito ormai anche loro sono Ironman. Hanno sofferto aspettandomi ora dopo ora per tutta la giornata e rimanendo sempre in ansia, hanno trattenuto il fiato ad ogni sirena e ad ogni arrivo di ambulanza hanno sperato di non vedermi scendere.

Ormai mancano solo 5 chilometri e accelero, ogni persona che incontro mi batte le mani e ha un incitamento per me. E’ una carica senza fine, non li conosco ma li ringrazio ora e per sempre.

Incontro anche atleti che hanno finito, loro sono forti, hanno magari finito da ore e adesso stanno tornando a casa o in albergo con la propria fidanzata e con accanto la loro fedele bike, beh si fermano tutti e tutti vedendomi trascinare la gamba, urlano incitamenti di ogni genere e in tutte le lingue del mondo, gridano che non devo mollare che ormai manca poco, che devo accelerare per stare nel cancello delle 16 ore.

Questo è lo sport, con la S maiuscola, siamo partiti insieme stamattina dalla spiaggia e abbiamo lottato fianco a fianco per prendere l’onda giusta, abbiamo combattuto al meglio per tutta la giornata e ora qualcosa ci accumuna e ci accumunerà per sempre, solo noi sappiamo cosa vuol dire provare a diventare un Ironman.

Moltissime ragazze e moltissimi ragazzi si sporgono dalle transenne per battere il cinque con me, molti sono dei bambini e io non ne ho saltato uno anche se mi è costa fatica credetemi perché ho devo spostarmi continuamente da destra a sinistra e ad ogni passo barcollo con il rischio che il ginocchio e le gambe ormai sfatte dalla fatica, cedano ma ho imparato già molto tempo fa che se qualcuno ti tende una mano per aiutarti… questa va afferrata ad ogni costo.

Cavalco l’onda giusta e senza quasi accorgermi, laggiù intravedo il traguardo ma prima devo fare assolutamente una cosa.

Ad ogni giro c’è stato uno spagnolo che con una bandiera gigante, con sopra disegnato un toro, mi ha inneggiato urlando il mio nome, si è messo ad ogni giro in mezzo alla strada e quando passavo moribondo ha urlato il mio nome con tutta la sua forza e ha sempre dato tutto per aiutarmi con la sua presenza e con la sua grinta.

Ora è là, lo vedo anche stavolta, lui mi vede, alza la bandiera e urla che ormai ci sono quasi, io rallento, mi fermo anche se le gambe scricchiolano subito sotto il peso di un corpo ormai senza più alcun controllo. Metto le mani vicino alle tempie rappresentando un toro, lui capisce al volo, il pubblico capisce al volo, mette la bandiera come farebbe un torero e mi aspetta, io con il piede raschio il terreno e parto, accelero, sento subito odore di sangue in bocca, le gambe sembrano esplodere, il ginocchio sembra staccarsi ma in quel momento niente mi potrebbe fermare… devo ringraziarti spagnolo, devo ringraziarti perché ad ogni giro quando ti vedevo, sapevo che dopo di te, pochi metri proprio dopo di te, c’era il traguardo e questa volta, in questo ultimo giro, so che significa essere arrivato a destinazione.

Carico la bandiera come un animale, lui la sposta da vero torero, il pubblico è in visibilio, urla di gioia e io a stento mi reggo in piedi ma sono felice fin dentro al mio cuore, felice perché ho instaurato un rapporto umano… solo con una bandiera.

Dopo vedo subito mia figlia e c’è anche mia moglie in mezzo alla strada, gli arrivo vicino, loro saltano euforiche, vorrebbero abbracciarmi ma ho il terrore che se lo fanno, mi sbattano a terra e sicuramente sverrei senza più alcuna possibilità di alzarmi, quindi gli urlo di prendermi per mano ma di non abbracciarmi assolutamente.

Entriamo insieme nel corridoio finale, quello che ho visto ad ogni giro, quello che ho sperato d’imboccare ogni volta che gli passavo accanto, ora finalmente posso… è mio. Ai lati del corridoio ci sono le due tribune stracolme di gente che urla, il boato è enorme e noi tre per mano corriamo verso il tabellone sopra il cancello che imperterrito segna il tempo che scorre da stamattina.

Lo speaker è in mezzo al corridoio, dietro di lui le ragazze pon pon, lui sta urlandomi contro con il microfono e mi indica con la mano destra, sta dicendo che tra pochi metri non sarò più un semplice uomo, sarò un Ironman, qualcuno che ha provato ad avere un sogno, a provato a realizzarlo e c’è l’ha fatta!

Allora mi metto anch’io ad indicarlo con la mano destra per dirgli che ogni cosa è possibile anche se va oltre i nostri limiti, anche se costa fatica, anche se lungo il percorso ci sono asperità e inconvenienti di ogni genere. Questa è la vita e va vissuta in ogni istante fino in fondo, questi pochi metri che mi separano dal traguardo, non mi separano da qualcosa di effimero ma da qualcosa di concreto che resterà per sempre nel mio cuore e spero in anche quello di mia figlia, per questo l’ho voluta vicino a me perché si ricordi che tutto è possibile… basta crederci fino in fondo.

Taglio il traguardo a 15 ore e 14 minuti, molto prima del cancello delle 16 ore.

Ora scendendo da questa pedana, rivedo tutto in un solo istante, mi vedo nuotare con il mal di mare, mi vedo indossare una vecchia e bucata muta di basso profilo, mi vedo pedalare per ore con una bicicletta assemblata con pochi euro, mi vedo forare per ben due volte, vedo il mio ginocchio creparsi tra mille dolori ma vedo prima di tutto il mio cuore, il cuore di un uomo di cinquant’anni felice come un bambino.

Massimo Rossi